Daniele.
La signora Gloria si era recata alla prima messa perché quella sua giornata sarebbe stata ricca d’impegni avendo alcuni ospiti a pranzo.
All’uscita si era un po’attardata a salutare suor Giuliana la madre superiore dell’asilo comunale; tra loro si era istaurata una bella amicizia e, spesso, si scambiavano piccole gentilezze.
Oggi suor Giuliana aveva preparato i fagioli con la cotica ed aveva chiesto alla sua
amica di passare a prenderne una ciotola verso mezzogiorno. “ Io non potrò venire – aveva detto Gloria – ma manderò uno dei miei ragazzi, stanne certa; è un piatto che ci piace molto. Grazie!.”
Il grande orologio della chiesa madre spandeva ancora nell’aria i suoi sonori rintocchi
quando Daniele bussò alla porta dell’asilo per assolvere l’incarico che la madre gli aveva affidato.
Fu proprio suor Giuliana ad aprirgli e gli chiese sorridendo: “Cosa desidera il nostro
ometto?” “ Mi manda mamma a prendere la ” totitella””. Affermò sicuro il bambino.
Daniele sin da piccolo aveva sostituito nel suo linguaggio la lettera “c” con la lettera
“t” e ora, ad oltre quattro anni d’età, non era ancora riuscito ad eliminare dal suo linguaggio quel vezzo puerile che a volte lo metteva a disagio.
La suora conosceva bene quella sua piccola difficoltà e, quando lo incontrava, si
divertiva a fargli ripetere parole con quell’antipatica consonante.
Anche ora fingeva di non capire e chiese svariate volte a Daniele di ripetere il motivo
della sua venuta. Il bambino, educato e gentile, ripetè una, due, tre, quattro volte la parola “totitella”,
ma alla quinta richiesta perse la pazienza e, contrariato, esclamò: “ Tazzo! Tu non tapisci mai!”.
La suora lo rimproverò severamente:” Daniele, queste parole non si dicono!”
Esterrefatto il bambino quasi si giustificò:” Ah, però, tu “tazzo” tapisci e “totitella” no!”
Suor Giuliana, per non scoppiare a ridere di fronte alla giusta considerazione di
Daniele, corse a riempire la ciotola.
Spavaldo il bambino s’incamminò verso casa; era sicuro che la monaca non avrebbe
più sorriso divertita per il suo linguaggio e, da parte sua, avrebbe cercato di liberare quella ”c” che gli si era impigliata nelle corde vocali e che sentiva ora agitarsi nella sua gola; presto, ne era sicuro, sarebbe venuta fuori nella sua sonora rotondità anche a costo di ripetere all’infinito il termine che aveva tanto scandalizzato la spiritosissima suor Giuliana.
All’uscita si era un po’attardata a salutare suor Giuliana la madre superiore dell’asilo comunale; tra loro si era istaurata una bella amicizia e, spesso, si scambiavano piccole gentilezze.
Oggi suor Giuliana aveva preparato i fagioli con la cotica ed aveva chiesto alla sua
amica di passare a prenderne una ciotola verso mezzogiorno. “ Io non potrò venire – aveva detto Gloria – ma manderò uno dei miei ragazzi, stanne certa; è un piatto che ci piace molto. Grazie!.”
Il grande orologio della chiesa madre spandeva ancora nell’aria i suoi sonori rintocchi
quando Daniele bussò alla porta dell’asilo per assolvere l’incarico che la madre gli aveva affidato.
Fu proprio suor Giuliana ad aprirgli e gli chiese sorridendo: “Cosa desidera il nostro
ometto?” “ Mi manda mamma a prendere la ” totitella””. Affermò sicuro il bambino.
Daniele sin da piccolo aveva sostituito nel suo linguaggio la lettera “c” con la lettera
“t” e ora, ad oltre quattro anni d’età, non era ancora riuscito ad eliminare dal suo linguaggio quel vezzo puerile che a volte lo metteva a disagio.
La suora conosceva bene quella sua piccola difficoltà e, quando lo incontrava, si
divertiva a fargli ripetere parole con quell’antipatica consonante.
Anche ora fingeva di non capire e chiese svariate volte a Daniele di ripetere il motivo
della sua venuta. Il bambino, educato e gentile, ripetè una, due, tre, quattro volte la parola “totitella”,
ma alla quinta richiesta perse la pazienza e, contrariato, esclamò: “ Tazzo! Tu non tapisci mai!”.
La suora lo rimproverò severamente:” Daniele, queste parole non si dicono!”
Esterrefatto il bambino quasi si giustificò:” Ah, però, tu “tazzo” tapisci e “totitella” no!”
Suor Giuliana, per non scoppiare a ridere di fronte alla giusta considerazione di
Daniele, corse a riempire la ciotola.
Spavaldo il bambino s’incamminò verso casa; era sicuro che la monaca non avrebbe
più sorriso divertita per il suo linguaggio e, da parte sua, avrebbe cercato di liberare quella ”c” che gli si era impigliata nelle corde vocali e che sentiva ora agitarsi nella sua gola; presto, ne era sicuro, sarebbe venuta fuori nella sua sonora rotondità anche a costo di ripetere all’infinito il termine che aveva tanto scandalizzato la spiritosissima suor Giuliana.
_________________
Meravigliose storielle del passato che la nostra cara Lucia ha scritto perchè non si perda il ricordo e,da qualche tempo a questa parte,ha creato un proprio sito personale con tutte le sue meravigliose opere culturali,ivi compreso "La mia vita con papà",purtroppo interrotta la sua pubblicazione costante sul giornale IL CASTELLO.
Chi vuole può visitare il sito al link:http://luciamanuppelli.altervista.org/blog/
pdm
1 commento:
Bellissimo e gustoso assai quest'ennesimo racconto di Lucia.
Complimenti,
Renato
Posta un commento